Il principio della rana

Il filosofo Noam Chomsky, in riferimento alla società, ai popoli che accettano passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori, riferisce di una sorta di esperimento, forse effettivamente eseguito nell’Ottocento.

Osservarono (cosa che, è ovvio, sconsiglio vivamente a tutti) che mettendo una rana dentro una pentola con l’acqua e portandola sul fuoco, accade una cosa interessante: la  rana, grazie alle sue straordinarie capacità, utilizza le sue risorse per adattarsi alla temperatura dell’acqua che gradualmente aumenta, e rimane là dentro continuando a resistere. Quando, però, l’acqua arriva al punto di bollire, la  rana vorrebbe saltare fuori dalla pentola, ma non ci riesce perché è ormai esausta: ha utilizzato tutte le proprie energie per adattarsi e non ne ha più per salvarsi. Provvidenzialmente, cosa che non accade spesso nella vita, la povera rana viene salvata. Curiosamente, se l’acqua fosse stata già bollente, la rana non ci si sarebbe mai immersa, avrebbe dato un forte colpo con le zampe per allontanarsi.

Cosa può insegnarci questo? Quante volte succede anche nelle nostre vite? Purtroppo a volte tendiamo ad utilizzare le nostre energie nel resistere in situazioni che non sono più buone per noi, e che sono magari peggiorate gradualmente. Ma, invece di saltarne fuori ed utilizzare le nostre risorse in senso costruttivo, per assicurarci delle condizioni più vantaggiose, ci logoriamo nel resistere finché non abbiamo più energie per agire.

Questo può succedere nel lavoro, che magari col tempo diventa un sarcofago nel quale seppelliamo i nostri desideri, la nostra creatività. Che non abbandoniamo per paura di saltare in qualcosa di sconosciuto ed angosciante, facendo implodere la nostra vitalità e rassicurandoci con l’idea, a volte impropria, di “dovere”. Oppure accade in rapporti affettivi che sono mutati lentamente nel tempo, ma non si ha il coraggio di osservare nella loro nuova realtà. Si cominciano ad esplorare tutti i possibili svantaggi di un cambiamento, finché perdiamo di vista i nostri sentimenti, le nostre esigenze e tutta l’attenzione viene assorbita dalla problematicità.

La soluzione non è “esplodere”, mandare tutti a quel paese andando allo sbaraglio, senza autoprotezione e senza valutare le conseguenze delle nostre azioni. Ma piuttosto nella vera Responsabilità, quella che deriva dall’etimologia della parola stessa. Si tratta di una “abilità nel dare una risposta” a quello che sentiamo, ai nostri desideri, a cosa comprendiamo sta accadendo, agli inevitabili cambiamenti in ciò che ci circonda ed in noi stessi, che, anche se avvengono lentamente, sono reali. Dare una risposta a noi stessi ed in nome di noi stessi. Proteggendoci, conoscendoci meglio e quindi tutelandoci integralmente, in tutto quello che davvero siamo, senza eccezione alcuna.

Tutti abbiamo una nostra energia. Naturalmente sta a noi decidere come utilizzarla. Questa energia non è inesauribile, e va quindi gestita con cura. Possiamo usarla per reagire o per agire. Adattarsi, obbedire, conformarsi, ribellarsi, fuggire, distruggere sono tutte forme di reazione. Sono comunque generate da un riferimento esterno, che in un modo o nell’altro la fa da padrone. Anche il comune egoismo è reattivo: il riferimento, in negativo, restano gli altri, che vanno danneggiati, vinti, derubati, superati. Nell’azione invece il riferimento siamo noi, i nostri bisogni, i nostri desideri ed i nostri obiettivi. Gli altri, o l’altro, vanno sullo sfondo. A questo corrisponde il rispetto e l’amore per se stessi. Questo diviene apprendimento di un metodo, per amare ed essere amati nello stesso modo.