Ogni rapporto di coppia ha alti e bassi. Non è evitabile, è fisiologico e fa tutto anche bene alla relazione. Ma a volte non si tratta di qualcosa di passeggero e quello che si vuole evitare di vedere è che la relazione è entrata in una fase di crisi.
I litigi diventano più frequenti. Iniziano le prime minacce di separazione, di rivolgersi ai legali e sempre più facilmente si rischia di valicare i limiti della violenza verbale se non fisica. Cominciano i dispetti, le ripicche, il nervosismo comincia a diventare uno spiacevole sottofondo. Si coinvolgono amici e parenti nel tentare, in genere senza alcun risultato, di ricreare un equilibrio. In realtà chi gravita intorno alla coppia si sente fondamentalmente invitato a dare “ragione” all’uno o all’altro. Una “ragione” che ovviamente non esiste e che non ha alcun significato pratico. E non saranno avvocati o giudici a dare le soluzioni. L’inferno avanza. Sono momenti difficili e non si riesce ad immaginare una via di uscita. Emerge davvero il peggio di noi stessi. Si oscilla tra la paura di far saltare un ménage consolidato ed il desiderio di una vita diversa.
Cosa fare?
In realtà l’orientamento tristemente prevalente è resistere. Sperando che passi l’onda. Per molti motivi. Il primo è che per quanto terribile sia il clima che si è instaurato in qualche modo è un terreno conosciuto. Meglio una sofferenza certa rispetto ad una felicità incerta. Si resiste e si accumula, come un condensatore, una tensione che può liberarsi deflagrando anche in modo violento, con le spiacevoli conseguenze del caso. Si arriva a chiamare le forze dell’ordine per un improbabile arbitrato di controversie, con l’unico risultato di esasperare ulteriormente gli animi. Resistere, evitare di vedere, non è una soluzione molto vantaggiosa. Se qualcosa non va, evitare di vederla significa ritrovarsela solo, in peggio, più avanti.
Quindi che si fa? Il primo ostacolo da superare è la proiezione. L’attenzione si sposta fuori di noi, sull’analisi di chi ha ragione e chi ha torto, mentre invece si tratta di un aspetto assolutamente marginale. Si comincia a guardare o analizzare l’altro piuttosto che a prestare attenzione a se stessi ed alle proprie esigenze. La “ragione” o la giustizia non aiutano. Aiuta invece moltissimo il semplice esame di realtà. Conta ciò che è vero, non ciò che è giusto. Ha la massima importanza comprendere ciò che noi pensiamo e sentiamo. Perché sarà questo ad orientare le nostre azioni. Con il vantaggio che abbiamo un certo potere se è su noi stessi. Mentre invece ne abbiamo poco o nulla sull’altro.
Se ne sappiamo abbastanza su ciò di cui abbiamo bisogno, sulle nostre esigenze, sulle nostre aspettative, sui nostri sentimenti sarà relativamente facile avere una rotta, una direzione. Mai come in questi casi valgono le parole della cosiddetta preghiera della Gestalt, dettata dallo psicologo Fritz Perls:
“Io sono io. Tu sei tu.
Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.
Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative.
Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa.
Se ci incontreremo sarà bellissimo;
altrimenti non ci sarà stato niente da fare.”
La difficoltà, molto comune, a riportare l’attenzione su se stessi si può superare ovviamente con l’aiuto di un professionista. Una simile esplorazione regala una notevole solidità alla propria posizione, rende consequenziali le decisioni e soprattutto è indispensabile all’instaurarsi di una comunicazione efficace. Diversamente si assisterà ad una comunicazione tra individui che sanno parlare dell’altro, ma sanno molto poco di se stessi e di cosa desiderano. Un dialogo tra ciechi e sordomuti. Incapaci di vedere il proprio malessere, lo si proietta inevitabilmente sull’altro, che diventa responsabile di tutti i propri guai, di tutti i propri fallimenti, anche esistenziali. Chi non ha trovato un proprio equilibrio non potrà creare qualcosa di equilibrato.
E’ incredibile osservare come migliorano i rapporti quando anche uno solo dei due si rivolge ad un terapeuta, un counselor o un professionista in una situazione di crisi. Spesso non è necessario che siano entrambi a farlo, anche se spesso si riporta come una difficoltà insuperabile che il partner non voglia partecipare ad un intervento in coppia. Basta che anche uno solo dei due scelga di avere un’assistenza. Naturalmente l’altro che sceglie di non farlo non potrà che accettare una condizione di minore consapevolezza con la conseguenza di un vissuto più gravoso. Andare insieme da un terapeuta non ha necessariamente lo scopo di salvare la relazione a tutti i costi. A volte serve invece a chiuderla nel migliore dei modi. Può far emergere la consapevolezza che il rapporto è finito e che non è necessario darne la colpa a qualcuno. L’amore, come ogni cosa del mondo, può finire. Accettarlo è doloroso. Ma anche il dolore prima o poi finisce. Mentre la sofferenza, che è il tentativo di evitare il dolore, può durare per tutta la vita. Se si accetta che è finita sarà più facile creare le migliori condizioni perché ci si possa lasciare grati per quello che comunque c’è stato e nelle migliori condizioni per affrontare il futuro senza l’altro. Utilizzare tempo e risorse per colpire o vendicarsi dell’altro significa sottrarle a noi stessi ed alla costruzione di una nuova vita.
Un professionista potrà sostenere anche nella gestione dei rapporti con i figli, che troppo spesso diventano, tragicamente, terreno di battaglia, con tutte le spiacevoli conseguenze del caso. Il danno peggiore, paradossalmente, è proprio consentirgli un ruolo attivo in quanto avviene tra i genitori. I rapporti di coppia non riguardano, è bene dirlo, i figli. Ed è meglio non confondere le relazioni genitoriali e quelle di coppia. Se vi state separando dal vostro partner non vi state separando da vostro figlio. E se l’altro non è più la persona con cui condividere la vita non significa che perde il suo ruolo di genitore, ed il rispetto che gli è dovuto per questa fondamentale funzione. Questa confusione comporta solo svantaggi. Frasi apparentemente innocenti come “lo faccio per loro” non hanno alcun senso. Lo “fate per voi” e questo è solo un bene per tutti. Dare ad un giovane o ad un giovanissimo, senza che possa sottrarsi, la responsabilità della relazione di due adulti è un pesante ed inutile fardello. Ed anche un’arma a doppio taglio. Anche da separati infatti ci si continuerà ad occupare insieme dei figli, ed in questo è meglio avere un alleato forte nell’altro, indebolirne la figura significherà accollarsene i relativi oneri.